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INDICE
Introduzione (Emanuele Torreggiani)
Prefazione (Diego Cinquegrana)
Proemio (Sergeij Zhigalkin)
Novelle ermetiche
Brenčalkin
Egocentrismo
Là
Poeta
Il sapientone
Robinson
Lo scrittore
Bambole
I due gobbi
Conversazioni tra mendicanti
Nonna
Il cammello e la giraffa
Sogni sulla metropolitana
Dalla prefazione
I racconti di Evgenij Golovin sono labirinti dell’intelletto, dove la parola diventa un vettore metafisico capace di scardinare le percezioni convenzionali. Essi appartengono a quella categoria di testi che non si limitano a narrare, ma si propongono come esperimenti gnoseologici, dove ogni frase è un potenziale biglietto di sola andata verso dimensioni altre, e del pensiero e – a maggior ragione – di quell’Antartide o deserto nei quali non vi è alcuna fonte che stilli una sola, ancorché preziosa, goccia d’acqua.
La sua scrittura si bilancia sul filo sottile di un crinale posto tra riflessione filosofica e provocazione letteraria. Come egli stesso osserva: «La bellezza è un’idea platonica e come tale non può essere spiegata, eppure sono secoli che l’uomo si ostina a volerla spiegare»(.). Ecco nel paradosso l’essenza del suo approccio: smascherare l’illusione della comprensione razionale, aprendo squarci pontificali – nell’etimo, nel vero – verso l’ineffabile.
I suoi racconti sono un viaggio che somiglia più a un’allucinazione controllata che non a una narrazione tradizionale. Golovin invita – rigetta e getta – il lettore in un territorio dove le parole confliggono nei loro *confini* semantici abituali, insorgendo quali creature autonome capaci di generare mondi (…).
[Diego Cinquegrana]
Dal proemio
«Per Golovin non esisteva alcuna differenza tra il reale e il fantastico, o meglio, tra il percepibile sensorialmente e il concettuale – il grado di realtà della casa di fronte e del “Nautilus” del capitano Nemo era lo stesso. Il cosiddetto “mondo reale” entrava nel mondo concettuale come sua parte insignificantemente piccola. Non sorprende che le persone casuali fossero spesso stupite dalla serietà di Golovin riguardo a “ogni assurdità” e dalla sua non serietà riguardo all’ambiente circostante e al presente. Il reale in sua presenza si trasformava facilmente in spettrale, e lo spettrale in reale. Non faceva sforzi speciali per questo, poiché era completamente libero dalla divisione razionale del percepibile in reale e irreale, vero e falso, e aveva sempre in mente l’intero cosmo nel suo complesso. Tutto era ugualmente reale e ugualmente irreale. E questa libertà dalla necessità di un mondo fisso, materiale – e di esistere in esso – non è un’acquisizione filosofica di Golovin, al contrario, essendogli data inizialmente, serviva proprio come punto di partenza per le sue innumerevoli ricerche: all’inizio tutte le ancore erano già state levate.
In altre parole, per Golovin tutto questo mondo, soggetto a domanda, affermazione o negazione, non si limitava alla “realtà” sensorialmente data, corporea, ma si estendeva fino agli ultimi confini del concettuale e del fantastico»
[Sergeij Zhigalkin]