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È la vigilia del “Natale di Sangue”: le navi del Regio Esercito Italiano stanno per aprire il fuoco su Fiume, che d’Annunzio e i suoi legionari tengono da 16 mesi. Nello stesso momento, a Milano viene arrestato il capitano degli Arditi Mario Carli (San Severo, 30 dicembre 1889 – Roma, 9 settembre 1935), uomo di fiducia del Vate: il Comando della Reggenza del Carnaro l’ha inviato a Milano per impiantarvi la redazione de “La Testa di Ferro”, il giornale della causa fiumana che dà voce all’arditismo. Non è da escludere che il trasferimento a Milano di Carli abbia come obiettivo primario l’esportazione della rivoluzione in atto a Fiume oltre i confini della città dalmata. Ma in quel dicembre del 1920 tutto precipita. Mario Carli, insieme a Cesare Cerati e ad alcuni anarchici, progetta di far saltare la centrale elettrica di Milano: in contemporanea, dalle colonne de “La Testa di Ferro” si esorterebbero i cittadini all’insurrezione armata. Scoperto, Carli viene arrestato mentre a Fiume rombano i cannoni delle corazzate che vomitano fuoco sulla «città olocausta». A cavallo fra il dicembre 1920 e il gennaio 1921 si chiude una parentesi e se ne apre un’altra, capitale nella storia d’Italia e nella Storia.
In queste pagine Carli narra della sua partecipazione all’impresa fiumana e delle sue aspettative: sullo sfondo, l’influenza della rivoluzione leninista che sta infiammando l’Europa e l’emergere in Italia della “più audace, più originale e più mediterranea delle idee” per opera di Benito Mussolini.
Già futurista, ardito decorato, amico di tutti i massimi esponenti politici e artistici del momento (da Marinetti a d’Annunzio passando per Mussolini), Mario Carli attraversa da posizioni inflessibilmente radicali tutte le avanguardie, consumato dall’inestinguibile fuoco rivoluzionario che sarà sempre la sua cifra — sarà ricordato come “la sentinella del fascismo intransigente”.
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