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*Vadim Bakatin, la meteora del KGB*
Come una meteora proveniente dallo spazio a sorvolare velocemente i cieli della Terra, così Vadim Bakatin apparve nelle stanze del KGB attraversandole altrettanto velocemente per poi eclissarsi, portando con sé quel che era stato il KGB dalla sua fondazione, nel 1954, fino appunto al fatidico 1991. Lo “spazio” dal quale proveniva Bakatin era quello del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, del quale entrò a far parte nel 1964 giungendo, dopo graduali promozioni, a svolgere le funzioni di Ministro degli affari interni dell’URSS nel 1988. Quindi non era certo un “oggetto misterioso”, ma sicuramente un “corpo estraneo” nel KGB — che solitamente attingeva al bacino militare per i ruoli di vertice —, rispetto alle logiche interne in fatto di accorpamento e arruolamento nelle alte gerarchie. Come politico e militante del PCUS Bakatin evolve nello stesso bacino “riformista” di Gorbaciov: che, eletto nel marzo 1985 Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito (l’incarico più alto nella gerarchia di partito e nel Paese), inizia subito la sua “rivoluzione dolce” per poi, una volta al comando, dare un’impressionante
accelerata al processo di cambiamento dell’Unione Sovietica passato alla storia come “Perestrojka” — una radicale trasformazione della società
e del Paese che genera un sostanziale mutamento nello scenario interno e internazionale. I fatti, a partire dal crollo del muro di Berlino, sono sufficientemente noti perché ci si debba qui dilungare. Dopo il tentato colpo di stato dell’agosto 1991, che Gorbaciov ritiene ampiamente pilotato proprio dal KGB, Bakatin viene nominato capo del “Comitato per la Sicurezza dello Stato” (KGB) con l’esplicito mandato di liquidarlo. Così l’Agenzia viene prima di tutto privata delle strutture di sicurezza interna incorporate nel Ministero della Difesa, delle Guardie di Frontiera (inquadrate in una struttura organizzativa indipendente) e dei servizi di emergenza, sottoposti all’amministrazione presidenziale. Tutto questo in poco più di due mesi. Infatti il 22 ottobre del 1991 viene emesso un decreto di scioglimento del KGB, che cessa ufficialmente l’attività il 3 dicembre; le relative funzioni vengono rilevate dalla “Federal’naja Služba Bezopasnosti” (FSB, i “Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa”), dalla “Služba Vnešnej Razvedki” (SVR, il “Servizio di Intelligence Estera”) e dal “Federal’noe Agentstvo Pravitel’stvennoj Svjazi i Informacii” (FAPSI, “l’Agenzia Federale per le Comunicazioni e le Informazioni al Governo”). Come è ovvio e normale che sia, in virtù del ruolo svolto e del momento storico in cui si è trovato ad essere protagonista, Bakatin ha dovuto subire feroci critiche e pesanti accuse, tanto da parte dei conservatori del vecchio sistema quanto da parte di quanti avrebbero voluto far evolvere la trasformazione della Russia in una direzione diversa da quella impressa da Gorbaciov. Una posizione non felice, quella del protagonista in epoca di transizione. Noi italiani la possiamo comprendere se, per quel che può valere un esempio o un parallelo, pensiamo al travaglio affrontato in Italia, a partire
dal 1943, con il Governo Badoglio. Traditore lui, i suoi ministri e i funzionari alle sue dipendenze per i sostenitori del precedente regime, quello mussoliniano; insignificante e destinato all’oblio (lui e quelli della sua parte) per quelli che, terminata la crisi, diedero vita al nuovo sistema codificato nel 1948. Più o meno quel che è accaduto a Gorbaciov, ai suoi collaboratori e sostenitori: e dunque a Vadim Bakatin. Come Badoglio e i suoi collaboratori, negli anni, sentirono l’esigenza di non essere schiacciati dall’incomprensione e da quella che per loro era una manipolazione storiografica, così Gorbaciov ha sentito l’esigenza di spiegarsi con diverse memorie; e altrettanto hanno fatto quelli della sua squadra. Così ha fatto anche Bakatin, con questo suo libro di memorie che ripercorre per intero la storia della sua famiglia e il complesso del suo impegno politico ed esistenziale. Ne viene fuori un quadro appassionato, a tratti poetico e volitivo. Orgogliosamente l’Autore testimonia quel che a suo avviso è stato un buon agire, appassionato e patriottico. Il Lettore italiano potrà, attraverso questa viva prospettiva di un protagonista, conoscere meglio alcuni aspetti poco noti di quella formidabile contingenza russa, apprendere dettagli che tanto la grande stampa quanto la saggistica storica fin qui prodotta ha ignorato per superficialità (nel migliore dei casi), manipolato oppure omesso per ragioni ideologiche. Dunque un libro che si colloca a buon diritto nel campo della miglior memorialistica, e che aiuta a capire come da quel doloroso fermento dei primi anni ’90 del secolo scorso si sia poi giunti all’evoluzione della Russia odierna, oggi più che mai protagonista sulla scena geopolitica.
[Dalla nota introduttiva a cura degli editori]
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