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Shiva, nella mitologia induista, è la divinità che pone fine, con la distruzione, ad un ciclo cosmico giunto alla fase finale del processo involutivo (Kali-Yuga, Età Oscura, della Dea della distruzione Kali, controparte femminile di Shiva), per permettere l’inizio di un nuovo ciclo e di una nuova Età dell’Oro. La sua danza distruttrice e mortale ha, pertanto, la funzione essenziale di eliminare ciò che è vecchio e decrepito, per dare un nuovo impulso alla vita, nell’Eterno Ritorno dei cicli.
In ciò consiste la profonda analogia, scoperta ed approfondita in quest’opera da Miguel Serrano, tra lo shivaismo ed il pensiero di Nietzsche, che se non conobbe, forse, lo shivaismo nei suoi testi storici, ne ebbe certamente l’intuizione delle concezioni, nella “memoria del sangue”, come avrebbe detto Miguel Serrano, giacché il geniale filosofo, affermava di pensare “non con la testa ma con i piedi”, intendendo con tale espressione significare che le sue folgoranti intuizioni, come quella dell’Eterno Ritorno di Tutto e della Volontà di Potenza nel suo triplice aspetto, creativo (Brahma), conservativo (Vishnù) e distruttivo (Shiva), le aveva quando il suo corpo sfinito dalla fatica per le ascensioni alpine, cessata l’attività della mente razionale, lasciava spazio all’autentica meditazione e alla visione interiore.