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Il 15 aprile 1944, un commando partigiano tendeva un’imboscata mortale al maggiore pensatore italiano allora vivente, sacrificando sull’altare dell’odio fratricida quello che era stato definito “il filosofo del fascismo”. Oggi, a 70 anni esatti da quell’omicidio, per un giovane che si affacci al mondo delle idee anticonformiste Giovanni Gentile rappresenta tuttavia un illustre sconosciuto dal punto di vista delle idee. Si ricorda spesso il Gentile “martire” e il Gentile riformatore della scuola, quasi mai il Gentile artefice di un pensiero della libertà, del dovere, della comunità, dello Stato. Del filosofo siciliano si è fatto uno scialbo “liberale”, un pigro chiosatore di Hegel, laddove invece egli ci ha insegnato a combattere contro questo mondo, per agire su di esso e per crearne uno nuovo, che sarà il frutto dell’azione rivoluzionaria di quegli uomini che, in rivolta contro il regno dell’ultimo uomo, sapranno forgiare il proprio destino. In questo risiede dunque l’«inattualità» radicale e il fascino seducente del pensiero gentiliano. Di qui la necessità di ritornare alle sue sorgenti, contro le rimozioni, le banalizzazioni e le falsificazioni. Gentile è fonte inesauribile di rivoluzione. Per questo vale la pena riprenderselo.
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