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“[...] Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo [...]: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale [...] Che cosa è venuto al posto [di questa idea universale], per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? E sorto un piccolo regno unito di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, cedendola al più logoro principio borghese [...] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale [...] e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. [...] Ecco la creazione del conte di Cavour!”
Questi pensieri perentori affidati da Fëdor Dostoevskij al proprio diario erano affini a quelli che fervevano in Angelo Insogna, il quale non li stendeva su carta ma vi tendeva con la sua pratica di congiurato legittimista: per legittimare la congiura della propria esistenza, di venturiero di Solidea. La lealtà fu l’insegna e la “grande passione” di Insogna. Lealtà e devozione verso il suo re, Francesco II di Borbone, l’ultimo sovrano di Napoli perduto dall’invasione savoina. Lealtà e ammirazione verso la sua regina, Maria Sofia di Wittelsbach, questa donna straordinaria, fiera e indomita, coraggiosa e schietta come un uomo d’arme. Difficile non provare ammirazione per lei, che nell’assedio di Gaeta si esponeva dove più infuriava il pericolo, sfidando a propria volta la fortuna per costringere questa a vergognarsi di averla precipitata nel disastro.
Maria Sofia fu incendiata per tutta la vita dal dèmone della vendetta. Ferma vendetta ella voleva trarre dei piemontesi usurpatori. A ogni costo. Anche a costo di dettare l’alleanza con il nemico ideologico: con i socialisti, con gli anarchici che pur le avevano ucciso Sissi, l’amata sorella. Senza pregiudizio, con tutti i mezzi. Anche la pistola di Gaetano Bresci, cui lei armò la mano. Se il miliziano Insogna intrecciava con il nemico del nemico la trama, Maria Sofia tendeva l’orditura per incrociarvela: a formare quel tessuto, dell’ ‘insorgimento’ dei popoli italiani meridionali contro il risorgimento savoino, che era una sorta di “disintegrazione del sistema” ante litteram.
Lo nota con sicuro disincanto Fulvio Izzo, che nella sua opera ci restituisce, disegnandoli con rigore documentale e interpretandoli con prezioso acume, tutti i casi di quell’incomune, inaudita avventura politica. Non sono i valori del ‘Risorgimento’ nazionale a spirare da queste pagine, la cui scrittura si ispira, invece, alle dignità feudali che qui insorgono come risorgive della sovranità naturale, pure risorgenze del rango, al contempo fiero e ferino, incarnato dalla Regina e dallo Scudiero. [Anna K. Valerio]
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