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Da KANT a HITLER
Il titolo di questo saggio, “W. Una parola per una idea”, è il frutto di un compromesso tra l’autore e l’editore. Il primo riteneva adeguato al suo temperamento (di mediatore della cultura): “W. Voce per un lessico”; il secondo sentiva conforme al proprio gusto ferino: “W. Grido per una guerra”. Entrambi però convenivano su una intitolazione latente, più intima, del testo che, in questo preambolo editoriale, va comunicata al lettore per la sua paradossale signifìcanza: “W.: per una moderna antimodernità”. In queste pagine l’autore ripercorre sinteticamente la formazione della nozione di Weltanschauung, la storia di una parola ‘demoniaca’ che, coniata dalla cultura tedesca nella seconda metà del XVIII secolo, fu la ‘corda grave’ del XX secolo: penetrando con i suoi suoni le rivoluzioni nazionali e le rivoluzioni sociali dell’epoca, essa servì loro da parola d’ordine, riassuntiva dell’essenza militare-miliziana delle sodalìtà che le animavano. Un avviso di riconoscimento, il suo, un annuncio di mobilitazione che percosse il tempo, obbligandolo a rendere quei suoni lunghi e cupi che permangono vitali pure oggi, se le stesse anime belle della modernità hanno perso ogni speranza di una pratica politico-sociale gestita dalla ragione.
Per l’autore, sulla Weltanschauung si impernia una antropologia antiumanistica, contro-individualistica, a-dialettica, a-razionale — istintiva. Principio costruttivo della realtà, della identità, sia individuale che sociale, la Weltanschauung è di per sé evidente: destinata a mostrare senza bisogno di dimostrare, viene vissuta non discussa. Essa è visione, innata, della totalità spaziotemporale, mirando a occupare quest’ultima secondo uno ‘stile’ esemplare. Il suo scopo: di vivere nella realtà per trasformarla. Se la razionalità-mediazione ideologica (o tecnologica o giuridica o economica: questi aggettivi sono transitivi equivalenti), che viene in fondo agita dalla Weltanschauung, richiede una dimostrazione e tenta di rispondere alla domanda del ‘come’, la Weltanschauung, con la sua immediatezza meta-razionale (o semplicemente irrazionale), sa rispondere (al pari della fede) alla domanda del ‘perché’.
Da Kant a Hitler, attraverso Fichte, Schelling, Dilthey, Nietzsche, la Weltanschauung assume progressivamente la fisionomia di una costellazione di elementi non-dialettici, il significato di una prospettiva radicale che, quando non la castiga per la sua insolenza servile, prescrive alla ragione di stare al proprio posto: quello, giusto, di ancella. Un pre-giudizio secondo natura, della stessa natura del maraviglioso e del tremendo, la Weltanschauung, che libera l’insurrezione dell’istinto signorile per una volontà di potenza.